L’artrosi dell’anca – detta anche coxartrosi – è una patologia di natura degenerativa, cronica e progressiva che si contraddistingue per un’usura articolare che, a lungo andare, porta allo scorrimento tra la superficie della testa del femore e quella del cotile.

La principale conseguenza di questa patologia è il dolore, che generalmente ha origine dall’inguine e si irradia verso il ginocchio.

Da non trascurare è anche la difficoltà nel deambulare, per non parlare della difficoltà nell’accavallare le gambe o nel compiere gesti quotidiani molto banali, come per esempio quello di allacciarsi le scarpe.

L’artrosi dell’anca può essere suddivisa in due tipologie:

1- Artrosi primitiva: in questo caso abbiamo a che fare con una condizione patologica favorita da fattori come l’invecchiamento e la familiarità.

2- Artrosi secondaria, ossia favorita da fattori che vanno dalle patologie genetiche e metaboliche, fino ai traumi e agli stati di infiammazione articolare.

È fondamentale ricordare che, nonostante il picco di incidenza della coxartrosi si palesi tra i 75 e gli 80 anni, in sala operatoria possono entrare pazienti anche molto più giovani.

Alle situazioni in questione contribuiscono fattori come il sovrappeso, l’attività professionale svolta, il livello di familiarità.

L’artrosi dell’anca si diagnostica ricorrendo alla radiologia tradizionale, che fornisce segni inconfondibili come:
– Riduzione della rima articolare
– Sclerosi dell’osso subcondrale
– Presenza di cavità ossee note come geoidi
– Formazioni di sporgenze ossee denominate osteofiti, segno del tentativo che il nostro organismo mette in atto per ampliare la superficie articolare e contrastare il senso di instabilità

Il trattamento della coxartrosi dipende dallo stadio della patologia.

1- Quando è ancora precoce, si può procedere con un trattamento conservativo:
– Sedute di fisioterapia
– Programmi terapeutici finalizzati alla riduzione del peso nei pazienti obesi
– Somministrazione di analgesici e antinfiammatori
– Somministrazione di agenti condroprotettivi
– Infiltrazioni di acido ialuronico e cortisonici
– Infiltrazioni di PRP (plasma ricco di piastrine)

2- Quando lo stadio è invece più avanzato, bisogna fare riferimento alla terapia chirurgica.
In questo caso si può parlare di:

Artroscopia di anca:
Particolarmente utile in caso di conflitto femoro – acetabolare.

In questi frangenti, avvalendosi dell’utilizzo della telecamera, è possibile effettuare lavaggi articolari, ma anche asportare frammenti distaccati di cartilagine articolare o aspirare liquido articolare pieno di mediatori infiammatori.

Grazie a tale tecnica, è possibile apprezzare un sollievo temporaneo dal dolore, anche se è difficile prevedere i risultati.

Su pazienti altamente selezionati si può agire con tecniche di riparazione biologica quali tecniche di stimolazione del midollo osseo (abrasioni e microfratture sotto guida artroscopica) innesti osteocondrali autologhi o allologhi (prelievi di tessuto osteocondrale innestati nel difetto), innesti di condrociti in sospensione (trapianti di frammenti di cartilagine prelevati dal paziente e reimpiantati dopo opportuni trattamenti), innesti di cartilagine ingegnerizzata, tecniche di rigenerazione guidata dei tessuti con innesti di proteine organiche (collagene ecc..) e matrice minerale (idrossiapatite).

Impianto di protesi totale d’anca:
In caso di impianto di protesi all’anca, il chirurgo si muove con obiettivi che vanno dall’attenuazione del dolore, fino al recupero della funzionalità e della mobilità.

Considerato uno degli interventi più soddisfacenti sia per il paziente, sia per il chirurgo, l’impianto di protesi totale all’anca può durare molto a fronte di un impegno nella selezione del paziente e nella scelta di materiali di qualità.

Le protesi d’anca sono di diversi tipi e possono essere più o meno conservative. Quando la situazione lo consente, è consigliabile preservare il patrimonio osseo del paziente. In questo caso, l’obiettivo è quello di poter intervenire più facilmente in futuro.

Sulla scia di questo approccio sono nate protesi con steli più corti, ma anche protesi di rivestimento e impianti che garantiscono la conservazione del collo del femore.

Essenziale è comunque ricordare che le protesi mini invasive preservano solo l’osso del femore, ma non garantiscono lo stesso risultato sul versante acetabolare (anatomicamente più povero di tessuto osseo indi valido per una revisione della protesi).